Isle of dogs, di Wes Anderson – Il film di Wes Anderson per eccellenza

La saturazione canina ha raggiunto proporzioni epidemiche. Un focolaio di febbre canina squarcia la città di Megasaki. Gli animali infetti, vermi, zecche e pidocchi infestano la città. L’influenza canina minaccia di attraversare la soglia della specie e di entrare nel bacino delle malattie umane.

(Prime parole tratte dal film di Wes Anderson)

In un futuro distopico, i cani portano con loro una malattia che presto diverrà trasmissibile anche all’uomo. Per debellare questa apparente epidemia, il sindaco Kobayashi decide di relegare tutti i cani sull’isola dei rifiuti poco fuori dalla città.

Centinaia di migliaia di cani abbandonati sull’Isola dei Rifiuti e un bambino rivoluzionario contro lo zio adottivo più potente del Giappone. Questa la prima divisione che dà il via alla nostra storia.

Una storia che Wes Anderson decide di portare con la tecnica dello stop-motion, già utilizzata in precedenza (Fantastic Mr. Fox, 2009) e decisamente vincente per la perfezione del suo stile.

Il cinema di Wes, sin dalle prime opere, tende alla perfezione, alla simmetria, ai primi piani dettagliatissimi e alle scenografie super curate. Questo film raggiunge questo obbiettivo nel migliore dei modi: quei movimenti di camera improvvisi a zoomare sull’azione, quelle soggettive sforzate per accentuare uno sguardo, quell’ironia delicata che si adagia nella storia senza distogliere la concentrazione dalla profonda drammaticità.

Per la seconda volta in un film di Anderson sentiamo gli animali parlare, ma non ci sentiamo estraniati da questa scelta, quasi ci venisse normare ascoltare un cane che si lamenta del suo stile di vita o un gufo che porta le notizie dalla città. È proprio questa leggerezza che ci tiene incollati alla storia senza destabilizzarci e senza farci notare che in effetti nella nostra realtà gli animali non sono comprensibili.

Wes Anderson inserisce anche qui, come in gran parte dei suoi film, delle piccole frecciatine politiche che si intrecciano nella storia. Per esempio il Pulsante Rosso del sindaco Kobayashi che farebbe morire l’intera razza canina sull’isola dei rifiuti. Quel pulsante rosso che già noi tutti conosciamo, quello che da un momento Donald Trump potrebbe schiacciare e scatenare così un conflitto mondiale senza precedenti.

Oltre agli inserti politici, Wes Anderson ci tiene a inserire anche qualche nota filosofica ad arricchire la sceneggiatura. Questo road-movie di maturazione, di cambiamento, di ricerca, infatti, ci pone, discretamente, davanti a domande esistenziali. Mi viene in mente la frase “Chi siamo noi, e chi vogliamo essere” che si presenta in mezzo al film. Una domanda che tutti noi, prima o poi, ci siamo posti. Anderson ce la presenta cercando di fare rispondere le sue marionette, ma siamo in realtà poi noi che ci rifaremo la domanda, siamo noi quelli che dovranno rispondere, i veri interlocutori di queste domande.

Isola dei cani è altro film che si va a collocare nella lista di produzioni perfette di Wes Anderson, un altro stop-motion che si rivela essere, ancora una volta, la tecnica azzeccata per la sua tipologia di messa in scena.

Una storia di amicizia, di fiducia e grande coraggio intrecciata alla nostra quotidianità, ai problemi di una società prossima del nostro mondo moderno. Una storia insomma, a tutti gli effetti, di WES ANDERSON.

Edoardo Nerboni, 20 anni, CISA (Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive)

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